sabato 6 settembre 2014

I difensori della lingua

Breve ornito-dialogo, costoletta di un altro filo che sarà oggetto di un futuro post. Per evidenziare il carattere sentenzioso e l'arbitrarietà di certe affermazioni, uso una tecnica a me cara: quella del calco con sostituzione di alcuni termini. Così si evidenzia il fatto che l'affermazione è “applicata” a qualcosa di specifico solo per via di preconcetti, pregiudizi, luoghi comuni e significati speciali attribuiti a certi elementi o espressioni — siamo cioè nel regno del del “linguaggio inferenziale di alto livello” (loaded language) — ma in realtà si può riapplicare senza troppa immaginazione ad altro.

Il punto vero di questo post è però la tattica della difesa della lingua.

La “difesa della lingua” è una sottocategoria della tattica di sminuire quanto l'interlocutore sta dicendo riducendolo ad una tipologia di ignorante, mostrando agli astanti eventuali errori (ovvero cose che si ritengono tali), sebbene questi non influiscano sulla validità (o non validità) del contenuto del messaggio1. Naturalmente non c'è l'intenzione consapevole (non sempre, almeno): è un'abitudine e una propensione mentale, umana, non contenuta da altri fattori culturali.

A volte gli effetti sono involontariamente autoironici: a memoria ricordo vagamente il niger eques che “sgridava” un suo detrattore per qualche strafalcione, ma nella frase in cui lo faceva scriveva «pò» invece di «po'»; e un altro tizio che bacchettava Emanuele Filiberto di Savoia perché in un tweet aveva omesso l'accento sulla terza persona singolare del verbo essere, mentre lui stesso, in quella frase sbeffeggiante, ometteva l'accento su «più»…

Anche nell'evento in esame c'è qualcosa di simile: mentre il finto cruscarolo2 mi contesta la sostituzione del digramma ch con k perché «non è italiano»3, egli, per introdurre il discorso trasversale, non trova niente di meglio che una abbreviazione gergale anglosassone («btw», cioè «by the way»)…

Avevo già fatto alcune considerazioni sulla «compressione dello spazio della parola» nei cinguettii, proprio come introduzione all'ornitoteca.

Voglio aggiungere un'altra considerazione.

A volte le regole, per esempio grammaticali od ortografiche, diventano un luogo comune e vengono perciò applicate meccanicamente al solo scopo di darsi un tono, ribadire la loro conoscenza, ma senza la consapevolezza delle ragioni dietro la loro esistenza e soprattutto senza la capacità di discriminare i contesti (nel caso linguistico, i registri) che rendono quelle regole inderogabili e fondamentali o, al contrario, inessenziali o persino sbagliate.

Per esempio è diventato un luogo comune la regola del congiuntivo con il “se”, tanto che può capitare che qualcuno, evidentemente ansioso di sfoggiare la sua cultura in contrapposizione all'altrui ignoranza, pensi che sia stato commesso un errore quando invece se ne è fatto un uso corretto.

Ci sono anche altri interessanti fenomeni, chiamiamoli così: per esempio, poiché in certi dialetti spesso e volentieri si sonorizzano consonanti sorde, a una persona consapevole di ciò può capitare, quando la situazione è tale da spingerla ad evitare forme e pronunce dialettali, di ipercorreggere una parola sostituendo una sonora (corretta) con una sorda (sbagliata).

Comunque, se non siamo in presenza di un'orazione, o non siamo editor di un testo che vuol essere pubblicato, o, in generale, non stiamo scrivendo con intenti letterari, non è una cattiva idea soprassedere e ignorare eventuali errori dell'interlocutore, a meno che questi non rendano ambiguo o di difficile comprensione il discorso. O a meno che non si voglia intenzionalmente ridicolizzare l'interlocutore e sviare, con “attacchi” ad hominem, il dialogo.


  1. Ho in serbo qualche altra più sottile perla di questa saggezza. Attaccare il proponente invece che la tesi è la fallacia detta ad hominem. Considero questo modo di procedere anche un (inconsapevole) tentativo di portare il discorso su altri terreni, in modo da evitare di trattare veramente il discorso iniziale.

  2. Gli accademici della Crusca sanno benissimo cos'è la lingua, cosa sono i registri linguistici… e fanno tutt'altro tipo di discorsi: non sono affatto i “bacchettoni” intransigenti che uno si immagina, anche perché sono consapevoli, forse più di tutti, che la lingua viva è destinata a mutare e le grammatiche e le ortografie ad essere riscritte per adattarsi ad essa e non viceversa — che piaccia o no, non c'è nessuna legge fisica che impedisca alla lingua di trasformarsi… e se così non fosse, poi, come saremmo arrivati all'italiano moderno? Tornando alla questione, all'Accademia della Crusca sanno la storia della k e sanno anche altre cose che giustificano l'uso della k in certi contesti. (Avevo anche scritto una nota pubblica su facebook in proposito)

  3. Nonostante sia palese il motivo: risparmiare due caratteri per far entrare il messaggio nei limiti di twitter.

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